IL CONSENSO INFORMATO: Fondamento giuridico, contenuto, modalità e finalità del consenso informato
Il consenso informato è l’accettazione che il paziente esprime a un trattamento sanitario, in maniera libera, dopo essere stato informato sulle modalità di esecuzione, i benefici, gli effetti collaterali e i rischi ragionevolmente prevedibili, l’esistenza di valide alternative terapeutiche.
Il diritto del paziente di formulare un consenso informato all’intervento appartiene ai diritti inviolabili della persona, ed è espressione del diritto all’autodeterminazione in ordine a tutte le sfere ed ambiti in cui si svolge la personalità dell’uomo, fino a comprendere anche la consapevole adesione al trattamento sanitario: il consenso informato si configura, infatti, quale vero e proprio diritto della persona e trova fondamento nei principi espressi nell’articolo 2 della Carta costituzionale, che ne tutela e promuove i diritti fondamentali, e negli articoli 13 e 32 della medesima Carta, i quali stabiliscono, rispettivamente, che “la libertà personale è inviolabile“, e che “nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge“.
La necessità del consenso informato, inoltre, è prevista da numerose fonti nazionali e internazionali. Come esempi di legislazione nazionale si citano l’art. 3 L. 219/2005 – “Nuova disciplina delle attività trasfusionali e della produzione nazionale di emoderivati” – l’art. 6 L. 40/2004 – “Norme in materia di procreazione medicalmente assistita” – nonché l’art. 33 L. 833/78 – “Istituzione del Servizio Sanitario Nazionale” –, il quale esclude la possibilità di accertamenti e di trattamenti sanitari contro la volontà del paziente, se questi è in grado di prestare il consenso e non ricorrono i presupposti dello stato di necessità di cui all’art. 54 C.p. (cfr. Cass. civ., 28 luglio 2011, n. 16543; Cass. civ., 16 ottobre 2007, n. 21748).
Tra le fonti di diritto internazionale, possono richiamarsi l’art. 24 della Convenzione sui Diritti del Fanciullo, firmata a New York il 20 novembre 1989, ratificata e resa esecutiva con L.176/91, l’art. 5 della Convenzione sui Diritti dell’Uomo e sulla Biomedicina, firmata a Oviedo il 4 aprile 1997, ratificata dall’Italia con L.145/2001 e, infine, l’art. 3 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea, proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000.
Anche il Codice di Deontologia Medica sancisce il principio generale secondo cui è vietato al medico di intraprendere attività diagnostica e/o terapeutica senza l’acquisizione del consenso informato del paziente e l’obbligo per il medico di desistere, in presenza di documentato rifiuto di persona capace di intendere e di volere, dai conseguenti atti diagnostici e/o curativi, non essendo consentito alcun trattamento medico contro la volontà della persona.
Pertanto, ogni trattamento diagnostico, ogni singola terapia, qualsivoglia intervento medico non può essere effettuato se non con il valido consenso dell’avente diritto, che sia stato compiutamente ed idoneamente informato in ordine al trattamento cui sarà sottoposto ed ai possibili rischi che da tale trattamento possono derivare.
L’informazione data al paziente costituisce parte integrante della prestazione medica che diviene essa stessa una prestazione sanitaria, al pari dell’accertamento diagnostico e dell’intervento terapeutico.
Per raccogliere un valido consenso è quindi indispensabile che il medico abbia fornito al paziente un’informativa esaustiva, attraverso tutte quelle necessarie informazioni idonee a consentirgli una scelta libera e consapevole.
In particolare nell’informativa è doveroso che al paziente venga esplicitato:
A) La situazione clinica obiettiva riscontrata;
B) La descrizione dell’intervento medico ritenuto necessario e dei rischi derivanti dalla mancata effettuazione della prestazione;
C) Le eventuali alternative diagnostiche e/o terapeutiche;
D) Le tecniche e i materiali impiegati;
E) I benefici attesi;
F) I possibili rischi del trattamento e le eventuali complicanze prevedibili;
Quanto alle modalità dell’informazione, la giurisprudenza ha avuto modo diverse volte di ribadire che la stessa deve sostanziarsi in spiegazioni dettagliate e complete, adeguate al livello culturale del paziente, con l’adozione di un linguaggio che tenga conto del suo stato soggettivo e del bagaglio di conoscenze di cui dispone, in grado di informare sui possibili effetti negativi di una terapia o di un trattamento chirurgico, sulle possibili controindicazioni e sulla gravità degli effetti, non potendo bastare le indicazioni su un modulo prestampato e una firma, ma occorrendo invece un colloquio del medico con il paziente (cfr. ex multis, Cass. n. 19220/2013).
Le informazioni devono essere rese al paziente in modo chiaro e commisurato alla sua capacità di comprensione da intendersi in senso medico e, cioè, non solo avendo riguardo al livello intellettuale del paziente, ma anche tenendo conto del suo stato emotivo e psicologico. E’ necessario, quindi, calibrare il tenore dell’informazione in modo che sia efficace al fine di far maturare nel paziente un convincimento libero, maturo e consapevole.
La finalità dell’informazione che il medico è tenuto a dare è quella di assicurare quindi il diritto del paziente all’autodeterminazione terapeutica.
L’informativa (e il conseguente consenso) deve essere prossima, dal punto di vista temporale, all’atto medico, perché uno dei requisiti del consenso è l’attualità. Un’informativa resa (e un consenso raccolto) troppo tempo prima dell’intervento rischia di non essere sufficiente perché nel frattempo il quadro clinico potrebbe essere evoluto o le alternative terapeutiche potrebbero essere variate o ancora il paziente potrebbe aver maturato un diverso convincimento.
Affinché il consenso sia realmente consapevole, deve quindi essere “informato”, il che comporta una specifica e particolareggiata informazione, da parte del sanitario, tale da implicare “la piena conoscenza della natura dell’intervento medico e/o chirurgico, della sua portata ed estensione, dei suoi rischi, dei risultati conseguibili e delle possibili conseguenze negative” (Cass., 23 maggio 2001, n. 7027, in Foro it. 2001, I, 2504 con nota di R. PARDOLESI; in Giust. civ. 2001, I, 2066; in Danno e resp. 2001, 12, 1165 con nota di M. ROSSETTI).
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