Intervento di stabilizzazione della colonna vertebrale e errata dislocazione dei mezzi di sintesi
Il signor G.F si sottoponeva a intervento chirurgico di artrodesi osteosintesi posteriore L3-S1 e laminectomia L4-L5.
Successivamente all’intervento il signor G.F ha cominciato ad accusare importanti dolori agli arti inferiori e, dopo accertamenti, si è posta indicazione alla revisione chirurgica a causa della avvenuta errata dislocazione dei mezzi di sintesi.
Anche il secondo e terzo intervento per porre rimedio al primo si sono rivelati un fallimento; dagli esami iconografici eseguiti successivamente è infatti emersa, ancora una volta l’importante dislocazione dei mezzi di sintesi oltre a un’infezione da stafiloccocco aureus che provocò a sua volta una spondilodiscite.
Come diretta conseguenza dei tre interventi è esitato un grave deficit della deambulazione (impossibile senza l’ausilio di bastoni canadesi o di terza persona) con dolore cronico che costringe il signor G.F alla sedia a rotelle e grave sindrome ansioso depressiva reattiva alla vicenda sanitaria sofferta e al lungo periodo di degenza /convalescenza subito.
Veniva introdotto il giudizio con richiesta di risarcimento del grave danno subito e la consulenza redatta dalla commissione medica nominata dal giudice ha riconosciuto plurimi errori nell’intervento di artrodesi e laminectomia . In particolare veniva accertato che si è trattato di un intervento di artrodesi L3-S1 non indicato, considerate le condizioni della paziente, e non preceduto da adeguate indagini diagnostiche della colonna lombosacrale.
Inoltre si sono verificati errori tecnici relativamente all’applicazione dei mezzi di sintesi, in particolare le viti peduncolari (che entrarono in conflitto con le relative radici L5 e S1) e che hanno costretto ad ulteriori due accessi chirurgici nel volgere di due settimane, infine , è emerso che l’infezione da Staphylococcus aureus del sito di intervento, con conseguente spondilodiscite plurima e voluminosa raccolta in sede endospinale è stata causata da mancanza di necessarie misure di prevenzione di possibili infezioni del sito di intervento.
Il Tribunale accoglieva totalmente la domanda risarcitoria e condannava l’ospedale al risarcimento a favore del signor G.P dell’ingente danno esitato in grave deficit della deambulazione tenendo conto dell’ accertata invalidità permanente da parte della commissione medica nominata dal giudice del 75% (considerata una problematica pre-esistente del 15%).
La scelta di effettuare l’intervento di stabilizzazione mediante Osteosintesi vertebrale lombosacrale e foraminotomia L4-L5 e L5-S1 risulta non indicata e non supportata da adeguate indagini diagnostiche del pre-operatorio.
Il signor G.F veniva sottoposta ad intervento di artrodesi osteosintesi posteriore L3-S1 e laminectomia L4-L5 ovvero un intervento di stabilizzazione utilizzando mezzi di sintesi interni e l’uso di innesti.
Allo stato attuale, come conseguenza dell’intervento chirurgico effettuato di stabilizzazione della colonna il signor G.F ha perso la propria autonomia.
Per questi tipi di interventi la fase pre -operatoria è fondamentale per eseguire una corretta diagnosi che determinerà anche la scelta dell’intervento più corretto e le basi per la sua corretta esecuzione.
Per diagnosticare correttamente le patologie vertebrali, oltre alla visita di uno specialista, occorre effettuare degli esami strumentali che permettano di guardare la situazione da vicino. In primo luogo RX del tratto lombosacrale sia in stasi, sia in flessione ed estensione del tronco.
Questo esame permette di verificare eventuali scivolamenti e la mobilità dei segmenti vertebrali. In secondo esame strumentale è una risonanza magnetica nucleare, che permette di valutare le condizioni delle terminazioni nervose e eventuali compressioni sul sacco durale, ovvero la membrana protettiva del midollo spinale. Il terzo esame è la TC lombosacrale, si tratta di un esame strumentale rispetto alla RMN che permette di valutare le alterazioni ossee. Infine abbiamo l’elettromiografia degli arti inferiori che permette di riscontrare eventuali problematiche a carico delle radici nervose. La laminectomia è l’intervento chirurgico con cui si rimuove la lamina vertebrale, allo scopo di ridurre i disturbi generati da una compressione eccessiva del midollo e/o dei nervi spinali, ottenuta rimuovendo una o più lamine vertebrali. Si ricorre all’intervento di laminectomia in presenza di stenosi spinale, ovvero qualsiasi restringimento del canale spinale che determina una compressione del midollo spinale o dei nervi che dipartono da quest’ultimo.
Purtroppo nel caso di specie , il primo intervento L3-S1 risultò non supportato da adeguate indagini diagnostiche e un completo fallimento e non solo costrinse G.F a subire ben altri due interventi ma lo portò a perdere la propria autonomia impedendogli la deambulazione senza l’ausilio di bastoni canadesi o di terza persona.Tra gli esami necessari per una valutazione di patologia vertebrale nel caso di specie risulta la mancata esecuzione preoperatoria di Rx lombare in flesso-estensione che avrebbe potuto evidenziare una qualche instabilità della colonna. Inoltre non fu eseguita nel preoperatorio una tele colonna (Rx della colonna in toto in posizione eretta) che avrebbe fornito indicazioni sullo stato della cifosi dorsale, della posizione spaziale del bacino valutando sia il suo grado di versione pelvica che la incidenza, dati imprescindibili per eseguire un intervento complesso e difficile di modificazione del bacino rachideo sagittale.
Inoltre la procedura chirurgica di artrodesi è stata caratterizzata dalla errata collocazione delle viti peduncolari.
La TAC eseguita dopo qualche giorno dall’intervento accertò la errata posizione delle viti peduncolari L3 dx e S1 sn che occupavano i relativi canali foraminali.
Per ciò che riguarda il posizionamento delle viti peduncolari la penetrazione del peduncolo deve essere realizzata progressivamente con piccoli movimenti di rotazione fino a incontrare a circa 2,3 cm di profondità il tessuto spugnoso del corpo vertebrale. Nel tratto di colonna dorsale le viti avranno un diametro di 4,5 mm ed una lunghezza di 35, 40 mmm; nel segmento lombo –sacrale le viti avranno un diametro di 6,7 mm con lunghezza di 40,50 mm. La presa della vite deve essere prevalente lungo le pareti del peduncolo; non si ricerca infatti alcun ancoraggio nella spongiosa del corpo o nella sua corticale anteriore.
Il mal posizionamento delle viti rese necessario un secondo intervento durante il quale i suddetti mezzi di sintesi furono rimossi e ancora una volta mal posizionati.
Da un punto di vista strettamente neurochirurgico, l’errato posizionamento delle viti produsse danni neurologici motori e sensitivi che si desumono dall’elettromiografia e dalle cartelle cliniche. A livello pratico una tale situazione senso motoria agli arti inferiori si traduce in una quasi impossibilità alla marcia autonoma.
In conclusione, si ritiene che la esecuzione dell’intervento di artrodesi L3-S1 fu gravato da complicanze relative alla errata collocazione delle viti poiché esse entrano in conflitto con le radici producendo danni senso-motori.
Ulteriormente ancora si è verificata l’insorgenza di infezione post-operatoria del sito chirurgico con conseguente spondilodiscite in una situazione in cui non risultano adottate tutte le procedure per la prevenzione della stessa.
Le spondilodisciti sono processi infettivi della colonna vertebrale che possono interessare le vertebre (spondilite) e i dische (discite) o entrambi (spondilodiscite).
La contaminazione ematogena, a partenza da un qualsiasi focolaio infettivo, è la forma più diffusa (60-80% dei casi); quasi sempre i fattori predisponenti sono rappresentati da precedenti interventi chirurgici. I microrganismi responsabili di queste infezioni sono i batteri patogeni gam-positivi e gam-negativi, con netta prevalenza per lo Staphilococcus aureas (fino al 50% dei casi), seguono streptococco, Escherichia coli, Pseudomonas, Enterococchi.
Il trattamento delle spondilodisciti prevede una terapia antibiotica mirata che deve essere iniziata il più precocemente possibile. Benchè, come noto, nelle strutture sanitarie il rischio di infezioni non possa essere azzerato, tuttavia l’adozione di standard elevati di controllo delle infezioni può ridurlo significativamente. In tutti gli ospedali deve essere operativa la Commissione per il controllo delle infezioni nosocomiali per l’individuazione dei reparti a rischio, l’analisi delle cause e l’identificazione dei possibili rimedi. Il Ministero della Salute, al fine di uniformare l’Italia alla maggior parte dei paesi europei, con circolare n. 52 del 20/12/1985 e successivamente con circolare n. 8 del 30/01/1988 aventi per oggetto la lotta alle infezioni ospedaliere (IO), recepisce in pieno le raccomandazioni europee ufficializzando il problema ed indicando la composizione di massima del Comitato per le Io (CIO) nonché alcuni provvedimenti organizzativi da attuare in ciascun presidio ospedaliero. (…) Pertanto, il momento fondamentale per ottenere un adeguato controllo delle Infezioni Nosocomiali è la prevenzione, costituita dalle già citate regole ben strutturate e codificate, oltre che dal miglioramento dei sistemi di sorveglianza e controllo.
(…) Per quanto riguarda il caso in oggetto, risulta evidente che il signor G.F è stato vittima di una infezione stafilococcica non pre-esistente al ricovero ma insorta subito dopo il trattamento chirurgico, quindi definibile nosocomiale come tempi di insorgenza ma anche come qualità dell’agente etiologico (stafilococco). E’ evidente altresì che il processo infettivo ha contribuito ad aggravare ulteriormente il decorso postoperatorio prolungando il periodo di convalescenza. E’ pertanto evidente come sia ravvisabile un nesso causale tra ricovero ospedaliero ed infezione da stafilococco.