Sono tutti quei comportamenti che i medici mettono in atto non per il bene del paziente, ma per evitare accuse o richieste di risarcimento. Nello specifico, esistono due tipi di medicina difensiva: quella positiva e quella negativa che hanno come unico scopo quello di evitare responsabilità medico-legali.
La prima si verifica per esempio quando il medico prescrive un numero di esami diagnostici in eccesso, sottopone i suoi pazienti a trattamenti o procedure diagnostiche non necessarie (per esempio biopsie), prescrive farmaci inutili, propone un ricovero in ospedale anche se le condizioni del paziente suggeriscono una gestione ambulatoriale, richiede consulti specialistici non necessari, compila una cartella clinica dettagliatissima con annotazioni a scopo precauzionale per evitare possibili conseguenze legali.
Si ravvisa invece un comportamento di medicina difensiva negativa, quando il medico evita procedure diagnostiche-terapeutiche rischiose su pazienti che invece possono trarne beneficio, rinuncia a prendersi in carico malati “potenzialmente a rischio” (un cardiopatico, un anziano, per esempio) o li esclude da alcuni trattamenti (interventi chirurgici o procedure diagnostico-terapeutiche innovative) solo per un eccesso di prudenza, o allo scopo di scongiurare sul nascere di un contenzioso con accusa di malpratice.
La conseguenza della medicina difensiva è la spesa perché con la prescrizione di test o trattamenti extra e inutili vengono sottratti molti soldi (stimati in più di 10 miliardi di euro l’anno) al fondo sanitario nazionale. La conseguenza della medicina difensiva negativa, invece, è il non offrire le cure necessarie ai malati a più altor rischio, compromettendo così il rapporto tra il sanitario e il paziente.
Proprio per chiarire atteggiamenti negativi di medicina difensiva, oggi esistono precise linee guida (entrate a far parte della politica sanitaria nazionale col piano sanitario nazionale 1998-2000 e il decreto legislativo 19 giugno 1999 n. 229) che prescrivono condotte e comportamenti medi a cui il medico deve attenersi. Inoltre, con il decreto Balduzzi (ddl 13 settembre 2012 convertito in legge 8 novembre 2012 n. 189) è stato previsto che, ove si accerti che il medico ha seguito linee guida riconosciute dalla comunità scientifica e non è in colpa grave, non commette reato penale di omicidio colposo.
Questi sono contemperamenti a salvaguardia del medico, considerando comunque che in caso di errore medico accertato la struttura ospedaliera rimane responsabile nel processo civile (responsabilità contrattuale) per 10 anni dall’errore commesso dal medico al suo interno e confermato anche dal recente ddl.
Avv. Paola Tuillier