Errori in intervento cardiochirurgico di sostituzione dell’arco aortico
La signora F.M di 63 anni all’epoca dei fatti , con diagnosi di dissezione cronica arco aortico veniva ricoverata in reparto di cardiochirurgia per intervento di sostituzione dell’arco aortico in chirurgia open con intervento Elephant Trunk mediante protesi e reimpianto dei tronchi sovra-aortici ciascuno mediante protesi vascolare.
La signora F.M decedeva a seguito dell’operazione e per vari errori commessi durante l’intervento di sostituzione dell’arco aortico. I parenti della signora F.M, il marito e le due figlie, si costituivano in giudizio e il Tribunale – dopo aver nominato una commissione di consulenti medici che ha riscontrato i gravi errori commessi durante l’intervento di cardiochirurgia- accoglieva totalmente la domanda risarcitoria e condannava l’ospedale al risarcimento a favore di tutti gli eredi.
La commissione medica nominata dal giudice per valutare gli errori commessi nell’intervento chirurgico di sostituzione dell’aro aortico ha di fatto accolto le evidenze illustrate dai nostri consulenti di parte confermando i numerosi gravi errori commessi, dapprima, nella preparazione del campo chirurgico e, successivamente, durante l’intervento sulla signora F.M; errori che hanno causalmente condotto al decesso della signora F.M.
Per quanto riguarda gli errori nella preparazione del campo chirurgico , trattandosi di re intervento (la signora era già stata operata per dissezione aortica di tipo A), la commissione medica nominata dal giudice ha evidenziato:
1) la prevedibilità della situazione fisica che i chirurghi si trovarono a dover affrontare;
2) la mancanza della necessaria effettuazione , poco prima dell’intervento, di TAC con mezzo di contrasto (che ha un ruolo fondamentale nell’orientare l’approccio al re intervento) definita come indispensabile,
3) la mancanza di una preparazione dei vasi (accesso vascolare) prima di riaprire lo sterno quindi una mancata preparazione del campo operatorio che ha portato, dopo l’apertura dello sterno, e con la lesione dell’arteria femorale, all’attivazione di una CEC (circolazione extra corporea) in urgenza utilizzando la vena e l’arteria femorale
4) inoltre è stata effettuata una inidonea scelta protesica perché la realizzazione di una protesi artigianale per riparare alla lesione dell’arteria, invece di ricorrere a una protesi già preconfezionata, ha provocato un aumento delle suture, del sanguinamento e dei tempi chirurgici. Tutto questo, secondo la commissione medica nominata dal giudice, in associazione alle necessarie emotrasfusioni, effettuate per controbilanciare le importanti perdite dovute alla lesione vascolare, ha posto le basi per la realizzazione delle complicanze (emorragiche , emodinamiche, epatiche , nefrologiche e infettivologiche) manifestatasi successivamente al decorso post operatorio.
Non solo. Sempre secondo la commissione medica nominata dal giudice il danno cerebrale è stato determinato da problemi a livello delle anastomosi tra le protesi confezionate tra i due vasi.
Nel caso di specie è emerso dunque che la lesione del tronco arterioso anonimo accorsa durante l’intervento cardochirurgico, il sanguinamento post-operatorio, la lesione cerebrale ischemica e il successivo stato comatoso sino al decesso della signora F.M sono da attribuire a condotte imprudenti , imperite e negligenti e sussiste , pertanto, un’evidente responsabilità dell’ospedale dove si è svolto l’intervento di sostituzione dell’arco aortico nella determinazione del decesso della signora F.M.
“I CTU, le cui conclusioni sono condivisibili in quanto adeguatamente motivate, hanno ritenuto l’indicazione chirurgica corretta alla luce della grave patologia di cui era affetta la paziente ma hanno ravvisato profili di colpa nella condotta dei sanitari innanzitutto per non avere eseguito un esame tac con mezzo di contrasto prima dell’intervento. Infatti, indipendentemente dalla patologia sottostante, il re intervento pone il problema della riapertura dello sterno; generalmente, infatti, dopo un intervento cardochirurgico (eseguito precedentemente all’intervento in questione dalla signora F.M) si formano aderenze, che nel caso in esame sono state definite tenaci, tra lo sterno e le strutture mediastiniche sottostanti per cui è possibile che, durante la preparazione del sito chirurgico e prima del camplaggio dell’aorta, si producano lesioni più o meno importanti a livello cardiovascolare. Nei re interventi, come nella fattispecie in esame, la formazione di aderenze è favorita dall’abbondante impiego di materiale protesico utilizzato nel corso del primo intervento.
In questa situazione, che è stata definita dai CTU come più che prevedibile, la TAC con mezzo di contrasto ha un ruolo fondamentale nell’orientare l’approcio al re intervento in quanto consente di visualizzare bene i rapporti tra lo sterno e le strutture mediatiche. I CTU hanno evidenziato l’importanza che l’esame sia fatto poco prima dell’intervento poiché, data la evolutività della patologia aneurismatica, la documentazione a disposizione del chirurgo deve essere più conforme possibile alla realtà anatomica del momento. Nel caso in esame, invece, la TAC era stata eseguita tre mesi prima e in cartella clinica non era riportato il referto sicchè non era dato sapere quale fosse la situazione anatomica da affrontare.
In secondo luogo, i CTU hanno rilevato che prima di riaprire lo sterno i medici non avevano preparato un accesso vascolare per collegare la paziente alla macchina cuore polmoni, che costituisce manovra che favorisce un più rapido avviamento della CEC in caso di sopravvenute complicanze. Pertanto quando alla divaricazione dello sterno si è verificata la lesione del tronco arterioso anonimo è stato necessario attivare con estrema urgenza ciò che non era stato preparato prima per dare vita alla CEC utilizzando la vena e l’arteria femorale.
Infine, riguardo alla realizzazione dell’Elefhant trunk, i CTU hanno evidenziato che i medici, invece di ricorrere ad una protesi già preconfezionata, il cui impiego consente notevoli vantaggi (facilitazione della sutura dell’aorta distale, riduzione del numero delle anastomosi, agevolazione dell’eventuale posizionamento di una protesi endovascolare), hanno impiegato un “protesi artigianale” per realizzare la quale il numero delle suture aumentava. Inoltre, così facendo, i tempi chirurgici, che in un intervento di questo tipo sono già di per se piuttosto lunghi, si allungavano ulteriormente e aumentavano le possibilità di sanguinamento.
I CTU hanno evidenziato come questa situazione, associata alle necessarie emotrasfusioni effettuate per controbilanciare le importanti perdite dovute alla lesione vascolare, abbia posto le basi per la realizzazione delle complicanze (emorragiche emodinamiche, epatiche, nefrologiche e infettivologiche) che si sono manifestate successivamente nel decorso post operatorio della paziente.
La sintomatologia neurologica si manifestava nella seconda giornata post operatoria (12.02.2016) quando comparivano scosse tonico cloniche generalizzate e un EcoTAS (ecodopleppler dei tronchi sovraortici) evidenziava una lesione ostruente della carotide comune destra associata a limitazione del flusso nella succlavia sinistra (la principale arteria del torace superiore). La successiva valutazione neurologica documentava che “la paziente non è contattabile, le pupille non sono reagenti allo stimolo doloroso”. La coeva AngioTC aorta toracica segnalava la mancata visualizzazione della carotide destra all’origine, il ristretto lume della succlavia di sinistra e l’assenza di lesioni tromboembolo che a carico dei vasi visualizzati.
Secondo I CTU “in base a tutto ciò è lecito ipotizzare che la mancata visualizzazione della carotide e la stenosi a livello della succlavia sinistra siano state causate da problemi a livello della anastomosi tra la protesi e quei due vasi e che questo abbia determinato il danno cerebrale.
Anche la circostanza che la carotide fosse compromessa all’origine ovvero a livello prossimale, come accertato da referto TAC avvalora ancora di più la tesi secondo cui l’obliterazione della carotide è stata conseguente alle manipolazioni chirurgiche che ebbero a determinare l’assenza di flusso ematico con conseguente danno encefalico.
(…) Dunque, la responsabilità della struttura sanitaria nei confronti del paziente viene qualificata dalla giurisprudenza di legittimità e di merito quale responsabilità contrattuale (…)
(… )Deve quindi affermarsi, per le ragioni esposte, la responsabilità della convenuta per la morte di F.M (…)”
L’ospedale è stato condannato , come si legge in sentenza , a risarcire ogni danno ai parenti della signora F.M a causa degli errori medici in operazione cardiochirurgia sopra riportati che ne ha determinato il decesso.